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Messaggio per la Quaresima 2013 di mons. Bruno Forte, Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto
L’11 Ottobre 2012 Benedetto XVI ha solennemente celebrato il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, voluto e iniziato dal Beato Giovanni XXIII, il “Papa Buono”.
Il Beato Giovanni Paolo II, sin dall’inizio del Suo pontificato, aveva insistito “sulla permanente importanza del Concilio Vaticano II… pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa ed anche culturale del mondo”.
Nel suo testamento spirituale aveva poi annotato: “Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito” (17 Marzo 2000). A sua volta, Benedetto XVI ha riconosciuto nel Concilio la bussola del cammino da seguire: “Nell’accingermi al servizio, che è proprio del Successore di Pietro, voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II… Col passare degli anni, i documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della società globalizzata del nostro presente” (21 Aprile 2005). Dedico, perciò, il messaggio della Quaresima 2013 a quanto il Concilio - e il Papa che lo ha aperto - mi sembra abbiano ancora da dire a tutti noi.
1. Il Vaticano II: un evento dello Spirito. Fu l’Arcivescovo Loris Francesco Capovilla, mio amatissimo predecessore nel servizio episcopale a Chieti dal 1967 al 1971, a raccontarmi della prima volta in cui Papa Giovanni, di cui era segretario, gli parlò dell’idea di un Concilio. Erano in auto di ritorno da Castelgandolfo, e il Papa, riflettendo sul fatto che gli uomini si ritrovano di quando in quando per fare il punto sui vari ambiti della loro vita, soggiunse: “Anche per la Chiesa ci vorrebbe un ‘aggiornamento’. Ci vorrebbe un Concilio!”.
Don Loris restò rigorosamente zitto. La scena si ripeté alcuni giorni dopo. Stesse parole del Papa, stesso silenzio del Segretario. Passarono ancora due giorni e Giovanni XXIII rifece il suo discorsetto. Vedendo che Capovilla restava ancora in silenzio, sbottò: “È la terza volta che ti parlo dell’idea di un Concilio e tu non dici niente. Perché?”. “Perché Lei mi ha insegnato - rispose prontamente don Loris - che quando il Vescovo Radini-Tedeschi [grande pastore della Chiesa di Bergamo, di cui Roncalli era stato segretario] diceva qualcosa con cui Lei non era d’accordo, restava in silenzio”.
Il Papa reagì con bonaria fermezza: “Io lo so perché non sei d’accordo: vuoi troppo bene al Papa e sei poco umile. Vuoi troppo bene al Papa e pensi che io sono vecchio e inizierò un Concilio che non potrò finire e farò una brutta figura con la storia. E sei poco umile, perché le cose non si fanno per fare bella figura con la storia, ma per obbedire allo Spirito Santo”.
Questo fu il Concilio nella convinzione di Giovanni XXIII: un’ispirazione dello Spirito, e, come tale, un insieme di fedeltà e di novità inseparabilmente connesse. Di fedeltà, perché lo Spirito è Colui che rende presente Cristo alla sua Chiesa in ogni tempo, e la fa così sempre fedele al suo principio e fondamento. Di novità, perché lo Spirito soffia dove vuole e fa nuove tutte le cose. L’interpretazione del Vaticano II dovrà allora essere guidata da quest’idea chiave della continuità nel rinnovamento, della fedeltà nel progresso, proprie di un “evento dello Spirito”. Ogni altra lettura sarebbe fuorviante, estranea al discernimento dell’opera di Dio nella storia.
2. Le finalità del Concilio: uno sguardo di amore e di fiducia. Nel discorso di apertura del Vaticano II, intitolato Gaudet Mater Ecclesia (“Gioisce la Madre Chiesa”), a lungo meditato e limato per essere pronunciato la mattina dell’11 Ottobre 1962, Giovanni XXIII manifestò le sue idee circa le finalità del Concilio.
In primo luogo, il Pontefice incoraggiava tutti all’ottimismo della fede, pronunciando un “no” convinto a ogni genere di profeti di sventura, di allora e di sempre: “Alcuni, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori… A noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio…”.
Se di questo sguardo ottimista c’era bisogno allora, ai tempi della guerra fredda e della divisione del mondo in blocchi contrapposti, è innegabile che ce n’è bisogno anche oggi: la crisi che attraversa il “villaggio globale” appare di una gravità con pochi precedenti e la tentazione del pessimismo rischia di farsi strada nei cuori. La storia sembra aver dato ragione alla fiducia del Papa buono con l’impensabile evoluzione che ha portato alla fine dei totalitarismi ideologici e della contrapposizione ad essi. Così è presumibile che il futuro darà ragione a chi continua a scommettere sull’uomo, a credere nelle vie misteriose della Provvidenza e a seminare un seme oggi, anche dinanzi a quanti sembrano prevedere che il mondo finirà domani.
Il Vaticano II fece suo questo sguardo di fiducia specialmente nella Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, che stimolava i credenti a passare da una concezione della Chiesa come dirimpettaia del mondo, chiusa sulla difensiva come cittadella fortificata contro i suoi avversari, a una Chiesa viva nella fede, lievito nella pasta, amica degli uomini e desiderosa di contribuire al bene di tutti, specialmente nella testimonianza della carità e nell’impegno per la giustizia e la pace.
La memoria del Concilio ci interroga, allora, sul modo con cui guardiamo al mondo e su come vi operiamo: è il nostro uno sguardo di simpatia e di amicizia, ispirato all’ottimismo della fede? Possiamo dire che i nostri interlocutori si sentono compresi e amati da noi? Ci spendiamo come singoli e come comunità per la solidarietà, la giustizia e la pace? Rileggere la Gaudium et spes potrà servirci a rispondere a queste domande.
3. Il rinnovamento della Chiesa. Un secondo motivo toccato da Giovanni XXIII nel discorso inaugurale del Concilio riguardava l’“aggiornamento” della comunità ecclesiale, che in nessun senso intendeva essere un abbandono della secolare ricchezza della fede, quanto piuttosto l’apertura umile e fiduciosa a una riforma vissuta in obbedienza ai segni dello Spirito, operante nella storia.
Diceva il Papa: “Altro è il deposito della fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale”.
La Chiesa intendeva parlare il linguaggio del suo tempo, per comunicare con tutti e lanciare ponti di dialogo su cui far passare il tesoro della Parola di Dio, custodito e trasmesso nella fede, e la bellezza della vita nuova, offerta nella celebrazione dei sacramenti. Se la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium faceva sintesi del lungo cammino del rinnovamento liturgico e offriva in modo rinnovato ai fedeli le fonti della grazia, che sono gli eventi sacramentali, la Costituzione sulla divina rivelazione Dei Verbum aiutava a riscoprire la centralità della Parola di Dio nella vita e nella missione dell’intero popolo di Dio. Accomunava le due Costituzioni l’urgenza di offrire a tutti i tesori del Vangelo e della vita nuova nella sequela di Cristo, raccogliendo una sfida non diversa da quella che oggi chiamiamo “nuova evangelizzazione”.
Far memoria del Concilio significa allora chiedersi a che punto siamo sulla via del rinnovamento sia liturgico che catechetico, e come viviamo la centralità della Parola di Dio nella nostra fede e nella proposta di essa al mondo. Rileggere le due Costituzioni potrà essere una via concreta per misurarci su queste domande e compiere una fruttuosa revisione di vita in vista di una rinnovata gioia di credere e di un nuovo slancio missionario.
4. L’unità dei battezzati e dell’intera famiglia umana. Nel discorso dell’11 Ottobre 1962 il Papa buono confessava, infine, il suo sogno più profondo: promuovere l’unità nella famiglia cristiana e umana, al di là di ogni steccato. “La Chiesa Cattolica - diceva - ritiene suo dovere adoperarsi attivamente perché si compia il grande mistero di quell’unità che Cristo Gesù con ardentissime preghiere ha chiesto al Padre nell’imminenza del suo sacrificio; essa gode di pace soavissima, sapendo di essere intimamente unita a Cristo in quelle preghiere; di più, si rallegra sinceramente quando vede che queste invocazioni moltiplicano i loro frutti più generosi anche tra coloro che stanno al di fuori della sua compagine”.
In un abbraccio veramente universale, il cuore del grande Pontefice si dilatava a voler raggiungere tutti. A distanza di cinquant’anni quest’ansia non è meno attuale. Oggi, come allora, ha abitato e abita il cuore dei grandi protagonisti della storia cristiana, a cominciare dai Papi seguiti a Giovanni XXIII. Oggi, come allora, esige una scelta di vita da parte di tutti, per costruire la comunione, che renda credibile il nostro annuncio, e cercare uniti il bene comune della famiglia umana, al di là di ogni visione di parte.
Consapevoli che questo impegno è da rinnovarsi ogni giorno perché la Chiesa è pellegrina verso la patria promessa nella resurrezione di Cristo, e dunque non deve mai sentirsi arrivata nel tempo, dobbiamo chiederci con umiltà: come viviamo i rapporti interni alla comunità ecclesiale? Siamo tutti partecipi e corresponsabili, ciascuno secondo il dono ricevuto e il servizio che è stato chiamato a esercitare? Siamo comunità in dialogo, dove l’unità della fede si manifesta a livello affettivo ed effettivo? Viviamo la passione per l’unità del Corpo di Cristo, affinché i cristiani divisi raggiungano l’unità per cui Gesù ha pregato, quando e come Egli lo vorrà? La Costituzione sulla Chiesa Lumen Gentium è il manifesto di questa idea della Chiesa, su cui sarà bene tutti verificarci ancora per crescere nella comunione e nel servizio. Al tempo stesso occorrerà riflettere sul dialogo con il popolo ebraico, la cui fede è santa radice della nostra, su quello con le grandi religioni universali e sull’impegno per promuovere il rispetto della libertà di coscienza di tutti, dovunque e sempre.
5. Il discorso della luna e la carezza del Papa. È la sera dell’11 Ottobre 1962. Volge al termine la giornata di apertura del Concilio Vaticano II. Giovanni XXIII - inizialmente titubante, come testimonierà Mons. Capovilla - decide di affacciarsi alla finestra dell’appartamento pontificio.
Toccato dallo spettacolo della folla raccolta in Piazza San Pietro, le rivolge alcune parole, passate alla storia come il “discorso della luna”: “Cari figlioli - dice il Papa -, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera - osservatela in alto - a guardare questo spettacolo… Noi chiudiamo una grande giornata di pace… Sì, di pace: ‘Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà’… La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così, guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: ‘Questa è la carezza del Papa’. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza… E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino”.
Sin dal primo momento queste parole suscitarono un’ondata universale di tenerezza commossa, che a distanza di anni pare ancora non spegnersi. Con Giovanni XXIII la Chiesa sembrava farsi vicina a tutti, amica di tutti, pronta a condividere con tutti la gioia e la fatica di vivere. Una Chiesa dell’amore, della speranza e della pace, offerte a ogni cuore. La Chiesa del Concilio, così come l’aveva sognata il Papa buono e come siamo chiamati tutti a realizzarla sempre di più…
6. Siamo ancora all’aurora! Lo stesso Giovanni XXIII aveva concluso il suo discorso per l’inaugurazione del Vaticano II, il mattino di quell’11 Ottobre, con uno sguardo ispirato: “Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: eppure, già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole nascente!”. Oggi, come allora, siamo soltanto all’inizio: “Tantum aurora est!”. E, tuttavia, questa consapevolezza basta per impegnarci - da veri “prigionieri della speranza” (Zaccaria 9,12) - a tirare nel presente degli uomini qualcosa della futura, promessa bellezza di Dio.
Il Concilio mosse i primi passi e ci ha indicato la via: grazie all’ispirazione di Giovanni XXIII e alla saggezza coraggiosa di Paolo VI si offrì come luce alla Chiesa e al mondo per un rinnovamento e una riforma, che hanno al centro la verità del Vangelo e scommettono sulla forza trasformante della fede. Riprendere in mano i testi del Vaticano II per portarli sempre più a compimento è sfida e promessa che ci riguarda tutti.
Disponiamoci a farlo anche con la bellissima preghiera che apriva le sessioni conciliari, l’Adsumus, che vi invito a recitare spesso, in comunione con me e con tutta la nostra Chiesa: Siamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo: sentiamo il peso delle nostre debolezze, ma siamo tutti riuniti nel tuo nome; vieni a noi, assistici, scendi nei nostri cuori: insegnaci ciò che dobbiamo fare, mostraci il cammino da seguire, compi tu stesso quanto da noi richiedi. Sii tu solo a suggerire e guidare le nostre decisioni, perché tu solo, con Dio Padre e con il Figlio suo, hai un nome santo e glorioso. Non permettere che sia lesa da noi la giustizia, tu che ami l’ordine e la pace; non ci faccia sviare l’ignoranza, non ci renda parziali l’umana simpatia, non ci influenzino cariche o persone. Tienici stretti a te col dono della tua grazia, perché siamo una sola cosa in te e in nulla ci discostiamo dalla verità. Fa’ che riuniti nel tuo santo nome, sappiamo contemperare bontà e fermezza insieme così da far tutto in armonia con te, nell’attesa che, per il fedele compimento del dovere, ci siano dati in futuro i premi eterni. Amen”.
A tutti auguro un luminoso cammino verso la Pasqua dell’“anno della fede”, accompagnato dalla luce attualissima dei testi del Concilio Vaticano II.