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Beati gli operatori di pace

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 46° Giornata per la Pace

per leggere il testo integrale: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/peace/index_it.htm

Il messaggio per la Giornata mondiale per la Pace del 2013 è ispirato a una delle beatitudini del discorso della Montagna: “Beati gli operatori di pace” e si apre con la rievocazione di quell'evento straordinario che fu, nella vita della Chiesa, il concilio Vaticano II, di cui si è appena celebrato il 50° anniversario dell'inizio. Evento caratterizzato, appunto, dal rafforzamento della missione della Chiesa nel mondo e dall'impegno dei cristiani nella storia degli uomini.

Tre caratteristiche del messaggio: la concretezza, la positività e l'aspetto educativo e pedagogico. L'espressione evangelica del titolo potrebbe far pensare a un messaggio di carattere piuttosto spirituale, per così dire, teorico. Invece l'argomentazione del Papa è estremamente aderente alla realtà. Constata un fatto, l'esistenza, in mezzo a conflitti, tensioni e violenze, di molteplici operatori di pace. Nella spiegazione della beatitudine evangelica sottolinea come si tratti di una promessa che è certezza, in quanto proviene da Dio, non legata al futuro, ma che già si realizza in questa vita; indica chiaramente cosa devono fare gli operatori di pace: promuovere la vita in pienezza, nella sua integralità, quindi in tutte le dimensioni della persona umana; richiama l'attenzione sui problemi più urgenti: la retta visione del matrimonio, il diritto all'obiezione di coscienza, la libertà religiosa come “libertà di”, la questione del lavoro e della disoccupazione, la crisi alimentare, la crisi finanziaria, il ruolo della famiglia nell'educazione».

La positività del messaggio è dimostrata dal fatto che, oltre ad aprire alla speranza, esso riflette l'amore alla vita e alla vita in pienezza, per cui accanto ai temi della difesa della vita, il Papa mette in luce quelli legati alla giustizia, necessari per una vita degna, in pienezza, cioè nella quale tutti abbiano la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità.

Infine l'aspetto educativo-pedagogico del messaggio, quello che sta sempre a cuore alla Chiesa, la quale ha fra i suoi compiti quello di “formare le coscienze”. Sotto questo aspetto, forte è il richiamo del Pontefice alla responsabilità delle varie istanze educative chiamate a formare classi dirigenti adeguate e studiare modelli economici e finanziari nuovi. Ciò è necessario per superare la fase particolarmente grave che sta vivendo il mondo globalizzato, una fase di profonda crisi spirituale e morale in cui sanguinosi sono ancora i conflitti e molteplici le minacce alla pace».

Va richiamato anche la perfetta sintonia del messaggio con il recente Sinodo sulla nuova evangelizzazione. La pace e l'educazione a essa dipendono primariamente -- anche se non esclusivamente -- da una nuova evangelizzazione. Infatti è tramite questa che si rende possibile, all'interno di un processo di conversione, l'incontro o il reincontro delle persone con Gesù Cristo, salvatore e redentore. Dalla comunione degli uomini con Dio -- resa possibile dall'incarnazione di Gesù Cristo e dalla fede in Lui -- derivano: una nuova visione dei rapporti tra persone e istituzioni, una nuova morale, nuove culture, nuove scale di beni-valori, nuove scelte, nuovi atteggiamenti e stili di vita, nuovi umanesimi. Vengono, così, capovolti i criteri teorico-pratici puramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati alla logica di potere e di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la vita e l'educazione sono centrate principalmente sul successo, sulla tecnica e sull'efficienza.

Una più profonda comunione dell'uomo con Dio, propiziata da una nuova evangelizzazione, in un contesto che tende a emarginarlo o a essere indifferente nei suoi confronti, abilita:

  • a essere operatori di pace secondo Dio; a essere costruttori di una convivenza giusta e pacifica, superando il relativismo etico e una morale che, come quella odierna, tende a essere totalmente autonoma, precludendo il riconoscimento dell'imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo;
  • e infine a essere protagonisti della pace come un «noi» comunitario, come famiglia umana, che origina un ordine sociale, razionale e morale, secondo quanto ha insegnato la “Pacem in terris” del beato Giovanni XXIII, ossia secondo verità, amore, giustizia e libertà.

In definitiva una nuova evangelizzazione implica una nuova evangelizzazione del sociale. Non riconoscerlo sarebbe ignorare le conseguenze dell'opera di redenzione integrale del Salvatore. Il primo atto di giustizia che si deve compiere da parte della Chiesa, in vista della realizzazione della pace, è l'annuncio di Gesù Cristo a tutti.

Il messaggio di Benedetto XVI è certamente in continuità con il precedente magistero sociale, da Pio XII a oggi. La pace è strettamente congiunta con lo sviluppo plenario di ogni uomo e di ogni popolo. È realizzazione del desiderio innato di una vita in pienezza. Concerne tutto l'uomo e ne implica il coinvolgimento nel suo essere globale. Dunque, «via di realizzazione della pace, e del bene comune, è il rispetto e la promozione della vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo sorgere, dal suo svilupparsi sino alla sua fine naturale». Ma è anche rispetto di tutti i diritti e i doveri dell'uomo. Per questo «le comunità politiche sono chiamate, per conseguenza, a riconoscere, tutelare, promuovere tali diritti e doveri, considerandoli come un insieme unitario e indivisibile -- corrispondentemente alla totalità della persona, al volume intero del suo essere -- non decurtandolo di parti essenziali».

È proprio sulla base di queste premesse antropologiche e giuridiche, che il messaggio evidenzia alcune gravi lacune e incongruità nell'azione contemporanea delle attuali comunità politiche: la liberalizzazione dell'aborto, attentato alla vita dei più deboli, e cioè dei nascituri; la discontinuità nei confronti dell'interezza e della complessità della vita umana, che comporta la difesa e la promozione di «non solo alcuni diritti -- come, ad esempio, il diritto allo sviluppo integrale, sostenibile; il diritto alla pace, all'acqua potabile, al lavoro -- ma anche il diritto primario alla vita, il diritto alla libertà religiosa, all'uso del principio dell'obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano alla dignità umana.

In sostanza il messaggio di Benedetto XVI è un invito a essere operatori di pace a trecentosessanta gradi, tutelando e implementando tutti i diritti e doveri dell'uomo e delle comunità. Sintomatico di questo modo di sentire e di vedere del Pontefice è il passaggio in cui egli, in un contesto di recessione economica -- provocata anche dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007 -- polemizzando con le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia secondo le quali sarebbe possibile lo sviluppo senza il progresso sociale e democratico, invita a non erodere i diritti sociali, tra i quali soprattutto il diritto al lavoro. Questo è un diritto fondamentale, non marginale. Senza la difesa e la promozione dei diritti sociali non si realizzano adeguatamente i diritti civili e politici e «la stessa democrazia sostanziale, sociale e partecipativa sarebbe messa a repentaglio». Dunque, via concreta e non velleitaria per ottenere la pace e il bene comune è «la realizzazione di un nuovo modello di sviluppo e di economia».

Va ricordato che il Papa ha più volte manifestato questi suoi pensieri. Anzi, in questo messaggio appaiono evidenti i contenuti della sua lettera enciclica “Caritas in veritate”, quando sostiene la necessità di adeguate politiche dello sviluppo industriale, dell'agricoltura e del lavoro per tutti. «Ma questa volta lo fa accennando in particolare alla crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. In altre parole, con un tale riferimento egli intende attirare l'attenzione sui temi della povertà, della fame, del mancato sviluppo agro-rurale: piaghe non del tutto debellate e, anzi, negli ultimi anni sempre più preoccupanti.

(Cf. L'Osservatore Romano 15 dicembre 2012)

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