Vangelo secondo Luca: con Gesù cambia tutto

Categoria: Anno della Fede
Pubblicato Domenica, 16 Dicembre 2012 16:03
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Quante volte consideriamo la storia, come se non ci fosse alcuna diversità tra il prima e il dopo la venuta di Gesù e la sua risurrezione! Tutto il racconto del vangelo e della storia di Gesù è il racconto di che cosa significa che con la sua venuta tutto è cambiato. Quest'anno alla domenica ci accompagna il Vangelo di Luca.

don Davide Baraldi (Casteldebole, 04.12.2012)

L’AUTORE

Luca, come autore del III vangelo canonico, è nominato tre volte nel Nuovo Testamento:

  1. Col 4,14: “Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema”.
  2. Fm v. 24: “Ti saluta Epafra, il mio compagno di prigionia per Gesù Cristo, con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori”.
  3. 2 Tm 4,10: “Dema mi ha abbandonato, avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galizia, Tito in Dalmazia; solo Luca è con me”.

Dalla testimonianza di Paolo, dunque, sappiamo che Luca era un suo discepolo, collaboratore e medico, e che tra tutti i discepoli di Paolo è stato quello più fedele. Da qui, forse possiamo mettere in luce una prima particolarità del vangelo di Luca, ossia la sottolineatura della radicalità della sequela che esige Gesù. Nel testo di Lc 9,57-62, tratto da una fonte comune anche a Mt, Lc aggiunge un terzo personaggio, non presente in Matteo, a cui Gesù risponde: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”.

Da Ireneo abbiamo la prima notizia che “anche Luca, compagno di Paolo, conservò in un libro il vangelo da lui predicato” (Adv. Haer. III,1,1). Da un testo conosciuto come Prologo antimarcionita del II sec., invece, abbiamo alcune notizie più diffuse: Luca era originario di Antiochia di Siria, faceva il medico di professione, era già stato discepolo degli apostoli prima di esserlo di Paolo, gli è stato vicino fino al martirio ed è morto a 84 anni in Beozia.

La tradizione che risale a Luca come autore del III vangelo, dunque risale almeno al II sec.. Luca scrive in un greco raffinato, è un grande narratore e un vero romanziere, oltre che uno storico. Ha scritto il vangelo probabilmente nel decennio tra il 70 e l’80 d.C., come si può dedurre da alcune considerazioni sulla distruzione di Gerusalemme, il tentativo di interpretare questi fatti e la riflessione sul tempo della Chiesa.

L’OPERA

Il vangelo di Luca è inscindibile dall’altra opera conosciuta dalla tradizione come Atti degli Apostoli. In realtà essi costituiscono un unico volume, con un unico progetto teologico. Il perché Luca prolunghi il suo racconto fino alla prigionia di Paolo a Roma e lo concluda in un modo aperto, cioè mentre Paolo fronteggia i giudei di quella comunità e annuncia loro il vangelo, è molto discusso. Si parla di un segmento troppo lungo o di un segmento troppo corto:

Si dice che Luca è stato il primo storico cristiano, ma non il primo storico della Chiesa.

Questa problematizzazione aiuta a focalizzare l’attenzione su un punto che può essere utile a capire il progetto di Luca e di conseguenza, la prima parte di questo progetto, ossia il suo racconto evangelico.

Bisogna partire dall’esperienza di Luca come discepolo di Paolo. Paolo all’inizio aveva una forte accentuazione escatologica, come se la fine del tempo dovesse essere imminente. Poi lui stesso evidentemente attenua questa aspettativa e lui, o l’autore che a lui si riferisce, mostra chiaramente nelle lettere chiamate pastorali, come la comunità cristiana si assesti in modo da affrontare il tempo che continua, la storia con la sua concretezza e i suoi risvolti. Luca scrive in un tempo in cui appare che la venuta del Signore non è imminente. Il tempio di Gerusalemme è stato distrutto e profanato dai pagani, e questo è stato letto come un evento escatologico. Nel vero senso della parola, un segno dei tempi. Ora però il tempo della Chiesa che rimane nella storia va preso molto sul serio. Lo schema dell’opera lucana nel suo complesso, dunque, ci dice che il tempo di Gesù si prolunga certamente nel tempo della Chiesa. Ma ci dobbiamo chiedere con che scopo?

Le possibili risposte sono sostanzialmente due:

  1. Allo scopo di raccontare la storia della chiesa fino a quel punto, ma allora abbiamo visto che la chiusa di At non sarebbe sufficiente.
  2. Allo scopo di raccontare qual è l’esistenza della Chiesa come comunità messianica che vive nel tempo “già” definitivo della resurrezione di Gesù. In questo caso, la chiusa di At, soprattutto l’ultima sequenza narrativa della permanenza a Roma in dialogo con i giudei di quella comunità, ha un’altissima valenza teologica.

L’annuncio del vangelo inizia dalla comparsa di Giovanni Battista nella storia (cf. Mc 1,1). Tutti gli evangelisti lo sanno: il riferimento a Giovanni Battista è essenziale per ogni tipo di annuncio, evangelizzazione e catechesi su Gesù. Anche Luca lo sa benissimo, basti guardare l’andamento di tutti i grandi discorsi degli At. Tuttavia Luca, come dicevamo, è anche un grandissimo narratore, e come ogni narratore sopraffino, costruisce un’opera in cui l’inizio, la fine e la svolta sono decisivi. Così Luca, dopo aver scritto il vangelo come si deve scrivere, vi aggiunge alla fine un prologo teologico (Lc 1-2), che oltre ad annunciare i temi più importanti del vangelo (cf. soprattutto le parole di Simeone: Lc 2,34-35), da all’opera una struttura molto precisa.

Il racconto parte da Gerusalemme, precisamente dal tempio di Gerusalemme, in pieno contesto giudaico. Al cuore di ciò che è il simbolo della storia di Israele: il tempio. Non a caso, l’introduzione storica, differentemente da tutte le altre volte analoghe, comprende solo il re della Giudea, non il riferimento alla storia di Roma (1,5, cf. con 2,1 e 3,1). In altre parole il racconto parte considerando l’elezione di Israele e l’alleanza che Dio ha stabilito con lui, e finisce a Roma, mentre Paolo annuncia il vangelo di Gesù ai giudei di Roma, illustrando come la salvezza di Dio, manifestata dalla resurrezione di Gesù, giunge anche (non solo!) alle nazioni (At 28,28). Al di là di molte interpretazioni fuorvianti, questo significa che si è compiuta la promessa e l’opera messianica, che cioè le genti (i goim) accedono al Dio di Israele per la testimonianza di quell’Israele che riconosce il Messia e condividono la stessa fede con Israele, dando inizio alla riconciliazione del mondo (cf. Ef 2).

Schematicamente: il racconto inizia con il culto nel tempio di Gerusalemme e finisce con il processo di evangelizzazione in atto e aperto. La prospettiva teologica inizia con il tema dell’elezione di Israele e finisce con la prospettiva messianico escatologica. (Spesso gli autori parlano qui di universalismo, ma non è questione solo di universalismo, quanto piuttosto della realizzazione messianica!). Al centro c’è la resurrezione di Gesù. Questo è un centro tanto teologico, quanto narrativo: Lc 24 si trova effettivamente al centro dell’opera lucana ed è il punto di svolta tanto del racconto, quanto della storia teologica raccontata da Luca.

Questo schema dell’opera lucana, ci permette di fare due considerazioni importantissime:

  1. Luca scrive la sua opera per una comunità presumibilmente a maggioranza ellenistica, che quindi doveva sapere niente o poco dei temi dell’elezione di Israele, dell’alleanza e della promessa messianica. A questa comunità Luca spiega cosa significa, e soprattutto come avviene l’accesso al Dio di Israele, manifestatosi pienamente in Gesù attraverso la sua resurrezione. Come dice ripetutamente lo schema di Lc 24 o il modello della catechesi di Filippo all’eunuco (At 8,26-40), si conosce il Dio di Israele, l’unico Dio, il Dio vero, solo passando attraverso la storia di Israele e quelle parole che interpretano e permettono di riconoscere la resurrezione di Gesù. In altre parole, non c’è storia cristiana che non sia sempre anche narrazione della storia di Dio con il suo popolo Israele, e non c’è storia della Chiesa che non sia sempre anche narrazione del compimento della promessa messianica in Gesù risorto.
  2. Il passaggio narrativo, storico e teologico della resurrezione di Gesù, ci obbliga ad abituarci a pensare che la situazione del mondo e della storia “di prima” non è più la stessa di quella “dopo” quest’evento. Sembra banale, ma non è così. Quante volte, ad esempio, ascoltiamo i 10 comandamenti come se non sia cambiato niente, in senso di sviluppo, ovviamente, non di negazione. Quante volte parliamo della chiesa come di una comunità niente affatto diversa da tute le comunità del mondo? Quante volte consideriamo la storia, come se non ci fosse alcuna diversità tra il prima e il dopo la resurrezione di Gesù? Tutto il racconto del vangelo e della storia di Gesù è il racconto di che cosa significa che tutto è cambiato:
    1. Lc 7,22-23: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti resuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non si scandalizza di me!”.
    2. Lc 7,33-34: differenza tra Giovanni e Gesù, definito: “Amico dei pubblicani e dei peccatori”.
    3. Lc 15: le parabole della misericordia.

Tale diversità, nel racconto di At è resa manifesta dalla Pentecoste (At 2) e dal sinodo di Gerusalemme (At 15). Nella Pentecoste si dice che non ci sono più frontiere, né muri di divisione, né lingue per la vita della Chiesa (quindi evitiamo le sciocchezze del latino!). Nel sinodo di Gerusalemme (e nell’incidente di Antiochia) si dice che la separazione tra ebrei e gentili viene meno, e – mantenendo le diversità – la chiesa testimonia gli inizi della redenzione del mondo.

Approfondendo ancora un po’, quindi si può dire che tre tappe caratterizzano la vicenda biblica secondo Luca:

  1. Il tempo della promessa (la storia dell’attesa del Messia), che rimanda fino ad Adamo (Lc 3,38) e che si chiude con la fine della testimonianza di Giovanni il Battista: “La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi” (Lc 16,16). Giovanni è al vertice della promessa, ma non ancora nel tempo nuovo della salvezza: “Io vi dico, fra i nati di donna, non è sorto uno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui”.
  2. Il tempo della salvezza (la storia di Gesù-Messia): i quattro “oggi” di Luca. Gli angeli a Betlemme all’inizio della vita – nella sinagoga di Nazareth – Zaccheo – sulla croce alla fine della vita. È un tempo sempre presente nella storia della fede.
  3. Il tempo della realtà messianica (la storia del popolo messianico, la Chiesa fatta di Israele con le Genti).

È importantissimo notare come, in questo schema, la resurrezione di Gesù rappresenti davvero la svolta decisiva, cosicché il tempo dopo non è più e non può esserlo in alcun modo, come il tempo prima. Luca è l’unico a non avere il riferimento al ritorno in Galilea dei discepoli, negli annunci della resurrezione, e tutte le apparizioni si svolgono a Gerusalemme o in Giudea, ma non in Galilea. Luca è l’unico vangelo a non avere presente lo schema “ciclico” della ripresa del discepolato in Giudea. La sua è una storia che si dipana, da un inizio (l’elezione di Israele) a una fine (la comunità messianica) con una svolta (Gesù e la sua resurrezione).

Anche lo schema narrativo di Luca, in quest’ottica, è molto rigoroso. Il ministero inizia in Galilea, e il terzo evangelista limita chiaramente a una le salite di Gesù verso Gerusalemme. Cosicché possiamo dividere il vangelo di Luca nel modo seguente:

  1. Prologo teologico: 1-2
  2. Il ministero di Giovanni Battista (e le tentazioni di Gesù): 3,1-4,13.
  3. I parte: il ministero in Galilea: 4,14-9,50.
  4. II parte: il viaggio verso Gerusalemme: 9,51-19,27
  5. A Gerusalemme: predicazione e morte di Gesù: 19,28-23,56 (qui è ancora più fine la notazione dell’osservanza del riposo del Sabato, termine della Legge, culmine della Creazione, prima del mondo nuovo della Resurrezione!).
  6. Epilogo teologico: 24.

La particolare interpretazione teologica della storia, e il suo svolgimento, non annulla in nessun caso l’importanza del tempo presente. Come dicevamo, l’oggi di Gesù è un oggi contemporaneo a tutte le epoche e tutte le persone della storia. In tal modo Luca enfatizza la necessità della decisione per il regno (rielaborando una fonte comune a Mt): Lc 7,31-35 (giudizio di Gesù sulla sua generazione, Q); Lc 11,29-32 (il segno di Giona, Q); Lc 12,54-59 (saper interpretare i segni dei tempi, Q); Lc 17,20-21 (il regno di Dio è in mezzo a voi, Q). I segni apocalittici (guerre, divisioni e persecuzioni) sono segni che accompagnano la storia e con cui i cristiani si devono confrontare, non i segnali della sua fine (Lc 17,22-37 e 21,5-36). Il tempo presente, infine, è sempre tempo decisivo, da qui la grande insistenza di Luca sui temi dell’incontro: dalla vocazione dei primi discepoli (Lc 5,1-11 – Mc), a quella di Levi (Lc 5,27 – Mc), passando dalle esigenze della vocazione apostolica (Lc 9,57-62, Q+Lc), a Marta e Maria (Lc 10,38-42), all’uomo ricco (Lc 18,18-23 – Mc), fino all’episodio di Zaccheo, chiamato dalla tradizione ortodossa: l’Incontro (Lc 19,1-10).

 

LE PERICOPI NARRATIVE (esempi)

L’annuncio dell’angelo e la visita ad Elisabetta (Lc 1,26-45).

Il saluto dell’angelo (v. 28), il suo annuncio (vv. 30-33) e la sua spiegazione (vv. 35-37), creano una reazione tutt’altro che rasserenante in Maria (v. 29; 34 e 38a), dando origine a una tensione narrativa altissima, che si risolve con la risposta di Maria (v. 38). La posta in gioco è dichiarata da Elisabetta: “Beata colei che ha creduto” (v. 45). Maria poteva non credere. Nella sospensione narrativa c’è la ricapitolazione di tutta la storia della salvezza, dal peccato di Adamo ed Eva, fino a Maria.

Due cortei alle porte di Nain (Lc 7,11-17).

La forza narrativa è data dalla costruzione scenica. Una processione di morte esce dalla città. Una processione, evidentemente di vita, vi entra con Gesù in testa. Le due direttrici si scontrano. Quella di morte sfida Gesù con una scena straziante: un bimbo morto, figlio unico, di madre vedova.

A casa di Simone (Lc 7,36-50).

La scena dell’ingresso della donna (vv. 37-38) e l’immedesimazione nei pensieri di Simone (v. 38), conosciuti da Gesù (!), rende la tensione narrativa, anche in questo caso altissima. Il colpo da maestro è la soluzione di tutti i particolari nell’esempio di Gesù e lo scarto tra l’esempio di Gesù e le parole sulla donna (vv. 42-43 e 47).

Il buon samaritano (Lc 10,29-37).

L’atteggiamento del buon samaritano è la creazione di un mondo nuovo, lo spazio di libertà del vangelo. È la realtà nuova del mondo che incombe e infatti Gesù conclude con l’invito a “farsi” prossimo.

I discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35).

Qui l’uso della narrazione alla sua massima forza e qualità. Tutta la forza del racconto, come racconto di rivelazione, e testimonianza di come si incontra il Signore risorto e si accede al suo mistero, si regge sulla tensione data dal fatto che il lettore sa fin da subito chi è Gesù, mentre i discepoli no, ma allo stesso tempo il lettore è messo nella posizione dei discepoli, soprattutto dallo spazio lasciato vuoto dall’assenza del nome di uno dei due. La tensione narrativa aumenta ancora, quando Gesù se ne sta per andare, e il lettore sa che i discepoli non l’hanno ancora riconosciuto. All’apice del racconto, quando finalmente Gesù si fa vedere, la narrazione svolta. Narrativamente, è un capolavoro (cf. Breaking Dawn II).

 

LA RIVELAZIONE DEL PADRE E DI COME DEVONO ESSERE I FRATELLI

Lc 15: le tre parabole della misericordia.

Anche nella parabola del Padre misericordioso, c’è un grande uso del metodo narrativo. Ma qui, insieme alle altre due parabole della misericordia, emerge soprattutto la rivelazione di chi è il Padre. Solo lui va in cerca della pecorella smarrita, di fronte ad altre cento che rischiano nel deserto; solo lui si rallegra in una maniera smodata per una moneta ritrovata, perché si considera un povero per il quale ogni spicciolo è prezioso; solo lui può agire come il padre misericordioso della parabola. Il racconto si chiude con lo scambio con il figlio maggiore, in cui il lettore si sente interpellato così: “Questo tuo fratello…” e si risolve sulla soglia, lasciando lo spazio al lettore (cf. Il confine della solitudine).

I racconti delle coppie (esempi)

I racconti delle coppie (10,38-42; 16,19-31; 18,1-8; 18,9-14), mettono in campo un atteggiamento per cui noi rivendichiamo con Dio qualcosa a scapito o contro il nostro fratello. Nel caso della vedova, paradossalmente, il punto di svolta è dato proprio dal fatto che il giudice non si confronta con Dio sulla donna… e con grande finezza Luca accentua la denuncia di quando noi ci mettiamo di fronte a Dio contro il nostro fratello.

 

CONCLUSIONE: GERUSALEMME

Che cosa rappresenta, spiritualmente, Gerusalemme?

Gerusalemme è il luogo dell’incontro misterioso e coinvolgente con Dio. (1,8-25).

Che cosa significa camminare verso Gerusalemme?

Significa fare il percorso verso questa esperienza spirituale di Dio. (19,45-46: ingresso nel tempio e parole di Gesù)

 

Perché Gesù esce dal tempio e da Gerusalemme per entrare nel luogo più santo di tutti, il luogo dove viene piantata la croce?

Perché nella nostra vita per fare esperienza del Dio vivo, ad un certo punto bisogna compiere un esodo. Lontano dal Dio conosciuto verso il Dio che si rivela in modo del tutto inedito nella tua storia particolare, e ti interpella attraverso la storia di Gesù, il Messia crocifisso.

Nella vita, in maniera sempre rinnovata e sempre più profonda, bisogna fare un salto: devi consegnarti nella fede a ciò che non capisci e non riesci a interpretare fino in fondo; devi accettare il perdono di Dio e offrirlo, con il dolore che provoca inizialmente la nostra conversione verso questa riconciliazione di fondo; devi infine accettare che solo il Padre possa accudire la tua vita, quando tutto sembra sollecitare l’opposto. L’ultimo passaggio da fare, al buio, sarà la morte, in cui tutte le certezze di nuovo saranno minacciate e l’ultimo esodo sarà da compiere. (sullo sfondo: la scelta di Gesù di salire a Gerusalemme, nel contesto degli annunci della sua passione).

Gerusalemme, nella vita, comincia a materializzarsi quando stai alla presenza di Dio mentre svolgi il tuo servizio – magari un servizio ordinario, magari il servizio di una vita – e ad un certo punto un angelo, un suo messaggero, ti annuncia la venuta imminente del Signore. Qualcosa si muove dentro di te, e cominci a sentirlo vicino. Cominci a sentire che il tempo della tua vita si sta riempiendo (se sei giovane), o che si sta completamente rinnovando (se sei adulto o anziano), e che il Signore viene.

E tutte le attese, tutte le speranze, tutte le promesse illuminate dallo Spirito che sentivi il bisogno di vedere realizzate cominciano a prendere forma. Non si configureranno sempre come vogliamo noi. Talvolta saranno molto diverse. Ma i nostri passi avranno cominciato a percorrere la via della pace.

La percezione che la sua Parola ha un corso ben più potente di quanto noi possiamo immaginare e l’attrazione verso un’obbedienza superiore e più vasta alla sua Parola, ci guidano a una pace più profonda e vera di tutte quelle che abbiamo cercato o che siamo riusciti a raggiungere.

La liturgia ci rende attuale il mistero di Gesù e l’ascolto della Parola (tutt’uno con la preghiera) lo distilla nel nostro cuore: così la storia della salvezza si compie ancora oggi e in questo compiersi illumina la nostra vita personale. La storia di Gesù diventa improvvisamente accessibile e noi ci possiamo entrare con tutta la concretezza della nostra esistenza e vederne in profondità il senso. (sullo sfondo: l’annuncio a Maria; l’incontro di Simeone e Anna nel tempio; ma anche la chiamata dei primi discepoli).

Quest’esperienza spirituale, scavata dall’ascolto della Legge e dei Profeti ti conduce, inevitabilmente, a riconoscere Dio come Padre e ad ascoltare la sua chiamata. [«Io devo occuparmi delle cose del Padre mio» (2,49), dice Gesù nella casa del Padre.] Il Padre ti invita a ritornare nella sua casa e in questo cammino sentirai come grazia il bisogno di obbedire a lui, di dover mettere in gioco la tua vita con lui, di dovergli chiedere: “Padre, cosa devo fare?”; “Padre, cosa mi dici attraverso Gesù?”. Egli, Gesù, è il fratello maggiore, che sempre abitando nella casa del padre entra ben contento di partecipare alla gioia di un fratello ritrovato.

Forse questo Gesù così conosciuto comincerà a far sentire il suo peso. Magari ogni tanto farà un po’ paura. Quella forza di persuasione con cui parla del Padre e la sua determinazione ad amare non sopportano mediocrità e ci spaventano un po’. L’esito dell’amore, quando diventa vita, è sempre la Pasqua. C’è una promessa di vita, in ballo, ma c’è anche la croce, di mezzo.

Qui è in gioco l’esperienza della fede.

Quando scegli di accogliere lo spazio della fede, allora Gerusalemme, il tempio, la casa di Dio non è più un luogo fisico, ma solo l’abbraccio del Padre.

Il Regno si rivela così: il Regno è l’esperienza di Dio come Padre.

Il Regno, però, non ti invade subito. Cresce, per numerose e successive tappe. Se vuoi percorrere fino in fondo la strada del Regno guarda Dio all’opera: il male retrocede, la Parola si realizza, i poveri sono incontrati e i peccatori accolti. Su questa strada il Padre ti condurrà a celebrare la Pasqua nella tua vita.

Gesù sarà davanti a te fino all’ultimo tratto. Che tu sia il Cireneo, le donne o il ladro, quella strada fatta insieme a Gesù ti mostrerà il senso della sua croce. Illuminerà anche la tua. Tutti noi abbiamo delle croci: che siano quello che non abbiamo scelto, che siano il nostro faticoso bisogno di conversione, che siano il senso della colpa che ci schiaccia, quella la croce di Gesù sarà propizia per la nostra vita e ci otterrà il perdono.

Ora il ritorno nella casa del Padre è davvero compiuto. E possiamo consegnare a lui, unico luogo dove posare il capo, il nostro spirito. E il Padre ci verrà incontro ancora, nella nostra distanza, e ci abbraccerà.

Non c’è luogo più santo e più intimo con Dio dell’esperienza spirituale fecondata dalla croce di Cristo. Qui abita Dio, nostro Padre. Qui Dio ha un posto per noi.

E poi bisognerà stare a Gerusalemme.

Stare dentro a questa esperienza spirituale di un Dio che abbiamo sentito in carne e ossa. Che mangia con noi e si rende presente attraverso i nostri legami e i nostri affetti e i gesti di ospitalità. La forza dello Spirito ci spingerà a riprendere il cammino.

E dovremo andare avanti così, di Pasqua in Pasqua, e la nostra esperienza di Dio potrà essere sempre più viva e vera fino all’ultima, quella perfetta, nel cielo.